acquisti
di coniugi stranieri in Italia e regime patrimoniale applicabile
Si tratta di individuare il regime applicabile per i
coniugi stranieri residenti in Italia,
Nel caso, regime applicabile per i coniugi pakistani
sembrerebbe quello della separazione dei beni.
L'Ambasciata del Pakistan in Roma conferma: unica legge attualmente vigente nel
Pakistan è la legge islamica, in base alla quale il regime patrimoniale legale
fra i coniugi è quello della separazione dei beni; a seguito del matrimonio la
donna entra sotto la potestà del marito ed avrebbe una limitata capacità non
solo d'agire, ma anche giuridica; è possibile scegliere il regime di comunione
dei beni unicamente con dichiarazione
unilaterale del marito; infine, il Pakistan non ha attualmente alcuna legge
organica che regoli il diritto privato internazionale e non vi sarebbe
alcuna legge che sottoponga ad una legislazione straniera il regime
patrimoniale dei coniugi pakistani.
Anche qualora in base ad una legge pakistana vi
fosse un ritorno indietro ex art. 13, L. 218/1995 alla legge italiana
sostanziale, questa
dovrebbe regolare unicamente i rapporti patrimoniali fra i coniugi pakistani in
Italia, ma non modificare il regime patrimoniale da loro scelto in base alla
loro legge nazionale.
Quindi, se sono in separazione dei beni senza
convenzione per la comunione dei beni, per le loro operazioni in Italia si
applicherà il
regime italiano della separazione dei beni, e non quello pakistano che
potrebbe, e senz'altro sarà, diverso.
Mi sembrerebbe, infatti, contrario ai principi
dell'ermeneutica costringerli, ope legis, ad un diverso regime patrimoniale
che, oltretutto, varrebbe solo in Italia.
A questo punto un pakistano che avesse beni in
diversi paesi potrebbe trovarsi in numerosissimi regimi patrimoniali, da lui
non voluti.
Al di là della soluzione che si può dare al caso concreto, mi sembra che,
comunque, sia confermata l'estrema difficoltà di qualificare esattamente
situazioni giuridiche regolate da ordinamenti molto diversi dal nostro; mi
chiedo, dunque: fino a che punto è dovere del notaio tentare di dare queste
qualificazioni, posto che non abbiamo il potere di farlo (non siamo dei
giudici)?
not.
Maria Benedetta Pancera, risponde:
Ipotizziamo che due coniugi stranieri, aventi legge
nazionale comune, in base alla quale i loro rapporti patrimoniali siano
regolati dal regime della separazione dei beni, risiedano in Italia e vogliano
acquistarvi un immobile.
Mi pare che potranno configurarsi le seguenti
ipotesi:
a)
applicazione tout court della legge nazionale comune, che non operi
alcun rinvio, con conseguente assoggettamento dell'acquisto al regime della
separazione dei beni, secondo la propria legge nazionale(artt. 30 e 29, L.
218/1995);
b)
convenzione matrimoniale di scelta dell'applicazione della legge
italiana e adozione da parte dei suddetti coniugi, senza che in ciò nulla
rilevi la legge nazionale comune di uno dei regimi patrimoniali previsti dalla stessa legge italiana (art. 30 cit.);
c)
rinvio effettuato dalla legge nazionale comune alla lex rei sitae, cioè
alla legge italiana, che com'è noto accetta il rinvio indietro (art. 13, c. 1,
lett. b, L. cit.).
I coniugi stranieri, in tale ultimo caso, verranno a trovarsi in una condizione
non differente da quella prevista per i cittadini italiani: in mancanza di
apposita convenzione di separazione, si applicherà il regime della comunione
legale come ritengo esattamente affermato dalla collega Panbianco.
Il nostro ordinamento conosce un solo regime legale e necessario dei rapporti
patrimoniali tra coniugi e ne ammette altri facoltativi, che sono pertanto
leciti ma non legali, non avendo la loro fonte immediata e diretta nella legge.
Non si vede, d’altronde, in virtù di quale principio positivo l'ordinamento
italiano dovrebbe adeguarsi al regime internamente disposto dall'ordinamento
straniero rinviante che, proprio nell'atto di eseguire il rinvio, afferma il
suo disinteresse per l'applicazione della propria normativa a determinati
rapporti instaurati da propri cittadini all'estero,
in presenza di una particolare circostanza di estraneità (quale il locum rei
sitae).
Il rinvio espande e non limita la potenzialità regolatrice dell'ordinamento richiamato
e non può convertirsi in una qualsiasi recezione che invece costituisce il suo
esatto contrario: con l'uno si ha espansione, con l'altra compressione
normativa.
Altro concetto da chiarire mi sembra quello di
qualificazione.
Non mi pare il caso di ripetere cose a tutti note in tema di rapporti logico-conoscitivi tra astratta fattispecie
legale e concreta situazione di fatto da regolare (con sentenza, con atto
amministrativo, con atto notarile, con atto privato), mediante individuazione
delle norme applicabili.
E basti in proposito un riverentissimo richiamo alla
sublime dottrina bettiana.